Posta48

Piracanta_bacche

La posta della settimana

<Adriano>

Le bacche della piracanta si possono mangiare?

Piracanta_bacche

La piracanta, nota comunemente come Agazzino, è una bella pianta da siepe utilizzata un tempo a scopo difensivo. I suoi rami, molto intricati, sono irti di spine e formano così una vera barriera per il passaggio di animali: impedisce a quelli domestici di uscire e a quelle selvatici, possibili predatori, di entrare.

La sua bellezza è soprattutto nelle bacche, numerosissime che appaiono a grappoli nel periodo autunnale e permangono sulla pianta per mesi colorandola di giallo, arancione e rosso.

Le bacche, simili a piccolissime mele, sono gradite dagli uccelli e fondamentali per la loro sopravvivenza durante il periodo invernale, ma sono tossiche per l’uomo.

Posta46

La posta della settimana

<Laura>

In questo periodo e per le prossime settimane capita di trovarsi con molte foglie secche e rametti caduti dalle piante che coltivo sul terrazzo. Mi chiedevo: è giusto buttarle nell’umido o, come si può fare in giardino, c’è un sistema migliore per utilizzarle?

La domanda è pertinente. Ogni volta che dedichiamo un po’ di tempo alle nostre piante sul terrazzo troviamo inevitabilmente delle foglie ingiallite o secche, dei rametti spezzati o piante che, avendo ormai esaurito il loro ciclo vitale, sono rinsecchite e possono solo essere buttate. Normalmente si finisce col raccogliere questi rifiuti verdi e gettarli nell’immondizia insieme all’umido o nell’indistinto, ma effettivamente potremmo impiegarli meglio semplicemente sfruttando i meccanismi della natura.

In giardino si fa del compostaggio, ma in terrazzo cosa possiamo fare? Qualcosa di molto simile e altrettanto utile. Teniamo a disposizione un vaso di buone dimensioni, ad esempio un 40x40cm e mettiamo qualche centimetro di terra comune sul fondo. Possiamo anche usare come fondo della terra sfruttata da qualche pianta che intendiamo eliminare. Usiamo quindi questo vaso come la nostra pattumiera verde tenendoci a disposizione un po’ di terra con cui andremo a coprire di volta in volta le foglie o i rametti o le piante che vi gettiamo. Innaffiamo ogni tanto il nostro vaso di rifiuti in modo da mantenere il terreno un poco umido. 

Il posto ideale per mettere questo vaso è dove possa vedere il sole qualche ora al giorno, ma non è indispensabile. Anche all’ombra svolge il suo compito molto bene. 

Possiamo gettare in questa mini-compostiera anche qualche avanzo verde della cucina: le bucce delle patate, i ritagli delle carote o di qualsiasi altra verdura, le parti scartate della frutta (ma evitiamo gli agrumi). Fondamentale è non gettarvi rifiuti di tipo animale, come carne, ossa, pesce perché produrrebbero cattivo odore. Possiamo invece bagnare i nostri rifiuti verdi con avanzi delle bibite (contengono zuccheri), the, caffè, birra.

Possiamo fornire una marcia in più mettendo un pochino di lievito di birra (secco o in panetti): ne basta pochissimo sciolto in poca acqua. L’unica nostra preoccupazione è quella di mantenere una costante umidità: bagneremo perciò il nostro vaso come faremmo con qualsiasi altra pianta e, una volta al mese, con la paletta rigireremo un poco la terra per arieggiarla. Ci meraviglieremo di quanto possa contenere il nostro vaso perché tutto quanto vi metteremo verrà lentamente decomposto dai batteri e si ridurrà a un terriccio indistinto. A primavera avremo a disposizione un terriccio friabile, leggero, molto fertile che potremo mescolare con successo al terriccio di qualsiasi vaso e di qualsiasi pianta per arricchirlo di preziosi elementi nutritivi.

Posta45

La posta della settimana

<Gianna>

Il mio basilico, benché sia cresciuto bene, presenta delle foglie ingiallite e in alcuni casi anche un po’ accartocciate. Invece di essere verdi e brillanti le foglie appaiono per nulla appetibili. Da che cosa dipende? È comunque consumabile? È una malattia e, se si, come prevenirla in avvenire?

Il suo basilico è stato colpito dalla mosca bianca, nome comune con cui vengono chiamati gli aleurodidi. Si tratta di piccoli moscerini che si insediano sotto le foglie e ne succhiano la linfa. La conferma le viene dal fatto che, toccando le foglie, si vedono svolazzare o saltare da una foglia all’altra.

La loro presenza è più frequente su alcune piante del balcone, probabilmente perché si forma una sorta di microclima a loro ideale o perché i possibili antagonisti naturali fanno più fatica a insediarsi e intervenire.

Gli aleurodidi si possono prevenire con delle trappole cromotropiche (carta moschicida) che ne limitano drasticamente la presenza. In caso di infestazione, è possibile trattare la pianta con olio di Neem, spruzzandolo di notte sotto le foglie.

Anche il sapone molle svolge una buona azione di allontanamento e prevenzione.

Per quanto riguarda le foglie rovinate, anche se non trattate, vanno per lo più scartate: la mancanza di linfa riduce anche la presenza di oli essenziali responsabili del sapore e del profumo della pianta. Inutile quindi cercare di impiegarle per il pesto o per insaporire un alimento.

Posta44

La posta della settimana

<Mariagrazia>

Ho in giardino un’ortensia molto bella da molti anni. La bagno regolarmente, ma quest’anno, nonostante le annaffiature si affloscia quasi tutti i giorni. Ma quanta acqua devo darle? C’è qualche problema nel terreno? Come rimediare per vederla bella come sempre?

L’ortensia, Hydrangea macrophylla, è tra le piante che “beve” di più. Non per niente se ne consiglia la messa a dimora in posizione semiombreggiata e dove possa trovare del terreno normalmente umido. 

La sua “sete” è da attribuire probabilmente alla sua enorme vitalità e alle grandi foglie da cui traspira grandi quantità di acqua.

A questo si aggiunga la temperatura anomala che ci affligge in questo periodo e che mette seriamente sotto stress qualsiasi pianta.

Non sappiamo quanto sia grande la sua ortensia, ma, se  è in piena terra da anni, probabilmente sarà un bel cespuglio alto 1,5-2 metri e largo altrettanto. Con questa temperatura la pianta è in grado di assorbire senza problemi da 3 a 5 litri di acqua al giorno da fornire possibilmente nelle ore serali quando la terra è già fresca o al mattino presto.

Per evitare sprechi, è utile formare intorno alla pianta una specie di avvallamento in cui si possa raccogliere l’acqua versata; questo evita che si disperda in rivoli, ma più facilmente si concentri sotto la pianta dove più serve.

Posta43

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<Andrea87>

Sui vasi in terracotta che ho sul balcone ci sono delle macchie bianche molto resistenti che ne rovinano l’aspetto. C’è modo di risolvere questo problema ripristinandone la bellezza?

La terracotta è un materiale traspirante e poroso: i vasi che teniamo all’aperto sono sottoposti a un processo di invecchiamento naturale che viene accentuato dalla presenza di calcare nell’acqua di annaffiatura. L’acqua che evapora dal vaso lascia sulla superficie i sali minerali che contiene che danno al vaso quel colorito biancastro; dal momento che la permeabilità del vaso non è omogenea, questi depositi si presentano a macchie.

Un sistema semplice per far scomparire questi depositi consiste nell’immergere i vasi per qualche giorno in acqua acidificata con dell’aceto. La soluzione acida scioglie il calcare e pulisce la terracotta che torna pulita come prima. Dal momento che acido e calcare si annullano a vicenda, potrebbe essere necessario cambiare la soluzione e ripristinare l’aceto per più volte prima di avere una completa pulizia.

Posta42

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<Ildo87>

L’azalea che ho acquistato e conservato in vaso ha ora un aspetto un po’ sofferente. Le foglie sono pallide e i rami, per lo più spogli, portano delle foglie solo in cima, a ciuffo. Devo rinvasarla? Concimarla? Cosa posso fare per ridarle la bellezza originaria, se possibile?

L’azalea ha fiorito durante il mese di maggio consumando molte energie ed è perciò in debito di nutrienti. Le foglie pallide sono indice della clorosi ferrica, ovvero il mancato assorbimento del Ferro e di altri microelementi preziosi per la fabbricazione della clorofilla. Il sintomo è proprio il pallore delle foglie e le venature in evidenza. Questo problema, se trascurato, porta a morte la pianta che non è in grado di svolgere le sue normali funzioni biochimiche. Intervenga immediatamente fornendo alla pianta del Ferro a pronta assimilazione come quello fornito da Ferro liquido di Compo (facilmente reperibile in qualsiasi Garden center), ma provveda soprattutto a rinvasare la pianta in un vaso appena più grande e riempito con terriccio per acidofile.

Proceda quindi a una potatura atta a ridare alla pianta la forma arrotondata originaria: elimini qualsiasi fiore ancora presente, accorci i rami lunghi, tagli decisamente quelli secchi.

Metta la pianta in una posizione luminosa, colpita dal sole per poche ore al giorno, la nebulizzi con acqua non calcarea e vedrà, nell’arco di una paio di settimane, spuntare nuovi germogli.

Per evitare di incorrere nuovamente nella clorosi ferrica, fornisca alla pianta ogni due settimane fino alla fine di settembre un concime per acidofile e, quando l’annaffia, mescoli all’acqua un cucchiaio di aceto (o il succo di mezzo limone) per annullare l’eventuale calcare presente nell’acqua del rubinetto.

Posta41

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<Giulio>

Nel condominio dove abito è stato proposto di rifare il prato delle aree verdi perché, dopo trent’anni, è ormai ridotto a un prato selvatico. Come è meglio procedere per ottenere il meglio? È qualcosa che possiamo fare da noi con qualche attrezzo o è meglio affidarsi a un’impresa? E cosa dobbiamo chiedere e cosa possiamo ottenere? Lo chiedo a voi perché, non sapendone nulla, vorrei evitare fregature.

Il rifacimento di un prato non è di per sé una cosa complicata, ma è giusto che venga fatta nel dovuto modo per ottener i migliori risultati duraturi nel tempo. Se la superficie è piccola si può pensare di intervenire anche da soli, ma affidarsi a un giardiniere professionista può dare ovviamente risultati migliori. In più si può sfruttare il bonus verde, particolarmente conveniente per i condomini, e quindi ottenere il meglio al miglior prezzo.

Un prato rifatto correttamente prevede che venga dissodato completamente il vecchio prato eliminando erba vecchia, sassi, radici e qualsiasi elemento spurio. Idealmente bisognerebbe eliminare 15 cm di terreno superficiale utilizzando presumibilmente delle scavatrici opportune.

Nel contempo si verificano i livelli in modo da evitare depressioni in cui si possano formare pozzanghere; una leggera pendenza, dove è possibile realizzarla, è sempre da preferire.

Il fondo va realizzato con uno strato di sabbia di circa 2-3 dita di spessore: assicurerà il perfetto drenaggio al terreno creando i presupposti per una crescita sana del prato.

Bisogna attendere che la sabbia si assesti con successive bagnature (o contando sulla pioggia) e su di essa si stendono dieci centimetri di terriccio per prato: è un terriccio torboso, leggero, in grando di trattenere umidità senza impregnarsi.

È su questo terreno che si semina o, per un effetto immediato, si stende il prato in rotolo. 

Prima di eseguire questi lavori è giusto chiedersi se si desidera che la superficie rimanga uguale all’attuale o se può essere l’opportunità di disegnare spazi per nuove aiuole o predisporre l’area all’irrigazione automatica. In questo il professionista potrà essere di grande aiuto: sia nella scelta delle migliori essenze per il prato (quelle ideali per la sua zona), ma anche nel progettare gli spazi.

Posta40

La posta della settimana

<Ennio>

Sono goloso di ciliegie e mi sono sempre chiesto: perché costano tanto? Ci sono motivi oggettivi per cui debbano costare tanto rispetto, ad esempio, alle pesche o altra frutta. Sono poche le coltivazioni? La coltivazione è più difficile?

Il ciliegio è una pianta generosa, molto produttiva e longeva, ma ha caratteristiche che si accordano poco con quanto ci ha ormai abituato la grande distribuzione. Siamo abituati ormai a trovare le fragole a Natale e la frutta più diversa in qualsiasi periodo dell’anno.

Innanzitutto il ciliegio ha problemi di compatibilità, nel senso che la sua impollinazione avviene solo con piante di varietà compatibili. Non tutte le varietà sono compatibili tra loro. Se ha un ciliegio e non produce frutti, ad esempio, è probabilmente solo perché non ha vicino una varietà diversa e compatibile. 

Chi intende mettere a dimora un ciliegio nel proprio giardino deve sempre assicurarsi di avere vicino una varietà compatibile.

Inoltre non è possibile coltivare il ciliegio “a spalliera”: l’albero cresce e ha una chioma naturale su cui si formano i fiori e i frutti: raggiungerli comporta mezzi e tecniche più complicate rispetto, ad esempio, alle pesche.

Ma soprattutto, le ciliegie in tutte le sue varietà maturano in un lasso di tempo molto contenuto, circa 45 giorni. La varietà più precoce (Early Magyar) matura intorno al 20 di maggio, quella più tardiva (Staccato) alla fine di giugno. La raccolta, necessariamente manuale, è perciò concentrata in un periodo molto limitato, contrariamente a quanto avviene per le già citate pesche. Queste ultime vantano varietà che maturano già a metà maggio ed altre che giungono a maturazione a metà settembre. Un frutteto che preveda 7 varietà di pesche rende possibile un raccolto ogni due settimane.

A questo consideriamo quante ciliegie sono necessarie per fare il peso di una pesca.

Chi coltiva ciliegie quindi si trova di fronte ad un prodotto più “difficile” degli altri alberi per la difficoltà di raccolta e il breve periodo di maturazione, mostrando il fianco ai sempre possibili problemi meteorologici (gelate tardive, pioggia intensa sui fiori, grandinate) che possono mettere a repentaglio l’intero lavoro di un anno.

Da qui il prezzo per una golosità che troviamo sul mercato solo per poche settimane.

Posta39

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<Luca>

Il mio gatto ha l’abitudine di scavare nella terra dei vasi devastandoli. Riuscire a coltivare qualcosa nelle fioriere alla sua portata è impossibile. Cosa posso fare per farlo desistere? Esistono dei repellenti?

Avere come amico convivente un gatto è un’esperienza bellissima, ma talvolta difficile. Se abbiamo delle piante possono sorgere dei problemi. Come tutti gli animali, anche i gatti cercano delle erbe con cui purgarsi o facilitare l’eliminazione del pelo che ingoiano durante le loro abituali pulizie.

Il primo rimedio che ci viene in mente è fornir loro la nota erba per gatti (da non confondere con l’erba gatta –Nepeta cataria-simile alla menta e dalle proprietà sedative), facilmente reperibile nei Garden center (ma anche in alcuni supermercati). Si tratta per lo più di fili d’erba ottenuti dalla germogliazione di alcune graminacee (avena, grano, orzo) di cui i gatti si nutrono talvolta per pulire il tratto digestivo e assimilare anche preziose vitamine (A e D).

Il “vizio” di zampettare nella terra però potrebbe derivare dal desiderio di nascondere le proprie feci o semplicemente affilare le unghie (meglio lì che sul divano). Un vecchio rimedio consiste nel mettere sulla superficie una serie di bastoncini per impedire al gatto di accucciarsi.

Oltre ad alcuni prodotti chimici (reperibili nei Garden center) ed utilizzabili per lo più su mobili e imbottiti, possiamo consigliare un piattino con delle palline di naftalina appoggiato sul terreno della fioriera. I gatti non ne sopportano l’odore e se ne tengono lontani. Per praticità, invece del piattino, utilizzi una vaschetta di alluminio o di plastica o comunque un contenitore a bordi alti.

Posta38

La posta della settimana

<vera87>

Si dice sempre che mettendo tanti gerani alle finestre e sul balcone si possono tenere lontane le zanzare. Io ho sempre coltivato gerani perché mi piacciono ma le zanzare in casa le trovo lo stesso. Ho letto con interesse l’articolo sulle piante utili e quelle che svolgono un’azione repellente contro i parassiti dell’orto, ma se funzionano come i gerani…

È un’ottima considerazione la sua che ci permette di aprire una parentesi sul concetto di difesa che la Natura applica alle piante. Nella loro evoluzione, che vanta tempi ben più lunghi di quelli dell’uomo, tutte le piante hanno dovuto elaborare dei sistemi per difendersi dai possibili aggressori: potevano essere dei semplici erbivori che se ne cibavano oppure degli insetti parassiti che ne succhiavano la linfa o utilizzavano le piante come nido per le loro larve.

I sistemi elaborati dalla natura prevedono la produzione di enzimi, ferormoni, oli essenziali, volti ad allontanare il possibile predatore. È una difesa talvolta molto elaborata, capace di discriminare tra le possibili specie che si avvicinano alla pianta. Alcuni fiori hanno colori e profumi atti ad attirare alcuni insetti (utili impollinatori) e allontanarne altri (parassiti).

Sotto questo punto di vista tutte le piante sono in qualche modo “tossiche” in quanto tutte quelle che hanno negli ultimi millenni superato l’aggressione dei potenziali “nemici” hanno sviluppato dei modi per tenerli lontano. Gli animali sanno bene quali piante fanno male e se ne tengono lontano, così come gli afidi trovano ripugnante l’odore dell’aglio o la cavolaia non sopporta il nasturzio.

È bene sottolineare come i sistemi di difesa che vediamo nelle piante non siano volte a distruggere il possibile nemico, ma solo tenerlo lontano: le piante non producono insetticidi, ma repellenti. A parte si pongono le cosiddette carnivore che si cibano degli insetti, ma è evidente che è un altro discorso. 

Le piante, in questo loro modo di difendersi, non hanno alcuna velleità relativa alla zona. Un cane o un gatto sappiamo che segnano la loro zona di caccia o di accoppiamento, la difendono e si battono per il predominio dell’area. Le piante sono estremamente individualiste nella loro difesa: proteggono se stesse, non la zona.

Dunque è ben vero che un geranio allontana le zanzare che trovano questa pianta disgustosa, ma è altrettanto vero che le stesse zanzare sono libere di circolare a 30-40 cm da essa senza alcun problema. È la pianta che è inappetibile, non l’area circostante. Per tornare al suo discorso è dunque vero che questo crea una sorta di barriera, ma molto circoscritta. A tal proposito sono state fatte delle selezioni di piante in cui si è cercato di esaltare questa naturale capacità repulsiva. Il caso più noto è la Catambra, una particolare selezione della Catalpa in cui l’area di repulsione, una sorta di no-fly zone, è estesa oltre l’intera chioma. 

Ma normalmente l’area di influenza è limitata a uno spazio molto ristretto. Anche se l’esempio può risultare poco carino, è come quando sulla metropolitana sale una persona che non si è lavata: l’area intorno al lui sarà meno frequentata (se e dove è possibile), ma non si svuota l’intera carrozza.

Così nell’orto o sul balcone: le piante contribuiscono ad allottare i parassiti e, se sono poste vicino alle piante che ne vanno soggette, possono essere risolutive. Senza con questo diventare miracolose.