Orto bio

L' orto bio

Si parla sempre più spesso di orto bio intendendo con questo un modo di coltivare simile o per lo meno prossimo a quello naturale. 

Questo, nell’opinione comune dovrebbe significare:

non utilizzare agrofarmaci (insetticidi o fungicidi), ovvero prodotti chimici di sintesi

a cui si dovrebbe aggiungere anche il limitato uso di concimi chimici.

Questo, nella pratica, dovrebbe tradursi come il tentativo di difendere le piante dai parassiti e dalle malattie sfruttando metodi naturali e assicurare la fertilità del terreno lasciando fare a madre natura. 

È un fatto che le piante sappiano difendersi da sole. È logico che sia così: ogni specie ha sviluppato nel corso dell’evoluzione sistemi atti a limitare i possibili attacchi esterni e salvaguardare così la specie. Si tratta delle spine per evitare di esser mangiate dagli erbivori, delle tossine presenti nei frutti per salvaguadarne i semi, o di enzimi ed essenze che tengono lontani alcuni insetti (molte piante aromatiche). 

La terra, dal canto suo, è un meraviglioso laboratorio biochimico dove la materia vegetale viene costantemente riciclata e resa disponibile per le piante che la colonizzano.

Perché dunque affidarsi a insetticidi e concimi?

C’è la possibillità che si stia sbagliando qualcosa?

Osserviamo le differenze

in naturanell’orto domestico
specie autoctonespecie alimentari
piante disposte a casopiante in file regolari
specie mescolate tra loropiante raggruppate per specie
terreno coperto da specie più piccoleterreno pulito ed esposto
terreno coperto dalle pianteterreno pacciamato con teli
piante che si ergono da solepiante sostenute da tutori

Ma il nostro orto prevede lavori sconosciuti in natura

  • lavorazione del terreno
  • concimazione periodica
  • lotta ai parassiti

Se desideriamo avvicinarci di più alla natura e quindi cercare di fare un orto bio dobbiamo inevitabilmente mettere in discussione quanto abbiamo fatto finora con coraggio e tanto buon senso.

ll terreno 

Un buon terreno è fondamentale per qualsiasi coltivazione: deve essere neutro (né acido né basico, salvo eccezioni), di medio impasto (un mix ideale di torba, sabbia, limo), leggero e ben drenato per facilitare l’affondamento delle radici.

Per ottenere le caratteristiche ideali potrebbe essere necessario far uso di ammendanti, ovvero aggiungere sabbia per alleggerirlo, calce per renderlo meno acido, materia organica per migliorarne la ritenzione idrica.

Nell’orto bio le piante vengono lasciate in sede per tutto l’inverno a protezione del terreno e quello che ne rimane viene interrato con la prima vangatura. Se si desidera alleggerire il terreno, renderlo più fertile e migliorare la ritenzione, si può, in autunno, ricoprirlo con due-tre dita di trinciato (quello che si ottiene tritando il legno). Questo predispone il terreno alla coltivazione di qualsiasi ortaggio. 

Concimazione

Usiamo concimi bio. Il re rimane il letame che oggi si può acquistare in forma pellettata, più facile da distribuire e conservare. Mescolato al terreno qualche giorno prima della semina o del trapianto, aumenta la carica microbica, arricchisce il suolo di tutti gli elementi utili e favorisce lo sviluppo di qualsiasi pianta.

Per la concimazione di copertura, scegliamo comunque fertilizzanti bio, dal sangue di bue alla pollina, dal guano alla cornunghia, secondo necessità. Non dimentichiamo che molti prodotti che consideriamo di scarto possono svolgere un’azione fertilizzante importante. Il compostaggio, il cui risultato, il compost, può sostituire egregiamente il letame, dovrebbe essere una pratica da associare sempre a un giardino o a un orto.

Naturale fertilità

Terreno e concimazione portano a considerare la naturale fertilità del terreno. Per preservarla e usare solo i concimi strettamente necessari dobbiamo applicare la rotazione delle colture in modo da consentire alla terra di rigenerarsi in modo naturale. Dobbiamo quindi evitare sempre di coltivare piante della stessa famiglia in successione nella stessa area. Questa pratica, spesso sottovalutata (giustificata da fatto che “i pomodori lì mi sono sempre venuti bene”), non solo preserva la fertilità del terreno, ma evita anche l’instaurarsi di taluni parassiti che svernano nel terreno e che rischiano di trovare a ogni primavera un banchetto con le loro piante preferite.

Pacciamatura verde

La pacciamatura, ovvero la copertura del terreno con teli è una pratica che ha il doppio scopo di limitare l’evaporazione dell’acqua, e quindi preservare l’umidità, e impedire alle infestanti di installarsi. In realtà la pacciamatura svolge anche un altro compito fondamentale: quello di proteggere il terreno dall’incidenza del sole. I raggi UV infatti distruggono muffe e batteri che popolano la superficie, sterilizzando di fatto la parte più esposta del suolo. Si possono usare teli di plastica o teli in fibra naturale (più costosi e parzialmente riutilizzabili); oppure si può pensare alla cosiddetta pacciamatura verde. Questa consiste nel coprire la superficie dell’aiuola di coltivazione con piante che, a fronte di un piccolo consumo di acqua e nutrienti, non entrano in competizione diretta con i nostri ortaggi, ma mantengono in ombra il terreno, lo difendono dalla pioggia incidente, limitano l’evaporazione. Se questa vegetazione è sufficientemenete fitta, anche le infestanti hanno difficoltà a installarsi non essendoci spazio né luce a disposizione. Si può usare per questo il banalissimo trifoglio, ma si può anche pensare di sfruttare il terreno per coltivare, insieme ai pomodori, all’aglio o all’insalata, delle piante utili.

Il concetto di piante utili

Quali piante possiamo considerare utili per il nostro orto? Facile: quelle che si mangiano. Un vecchio agricoltore ci diceva che mentre gli ortaggi vanno bagnati, le altre piante non hanno diritto di vivere perché non producono nulla.

Basterebbe l’assorbimento della CO2 per smentire questo pregiudizio, ma restiamo pure più vicini al nostro orto.

Sono piante utili quelle che, con i loro fiori, attirano le api e gli insetti impollinatori (pronubi) in genere. Un orto senza api è un orto improduttivo: è uno dei problemi che può incontrare l’orto sul balcone, tanti fiori ma pochi frutti. Un orto realizzato vicino a un campo fiorito o un giardino è più produttivo di uno completamente isolato.

Sono piante utili quelle che allontanano alcuni insetti parassiti, come fa il garofano con la pieride del cavolo. 

Sono piante utili quelle contrastano l’oidio (mal bianco) come fa il basilico o l’equiseto.

Sono piante utili quelle che arricchiscono il terreno di azoto (leguminose in genere).

E sono piante utili quelle la cui vicinanza appare favorevole per entrambe le specie (consociazioni).

… e quella di insetti utili

Un orto vivo, dove esiste ampia varietà di specie, c’è biodiversità, accoglie anche numerosi insetti oltre alle api. E magari anche qualche uccellino che si ciba degli insetti. Se non vogliamo concepire il nostro orto come una serra a cielo aperto, dobbiamo accettare l’idea che i nostri ortaggi possano attirare insetti cattivi (parassiti) e insetti buoni (che si cibano di quelli cattivi). Il problema è fare in modo che vi siano entrambi e che nessuno possa prendere il sopravvento a scapito delle nostre piante. 

Proviamo per questo a cambiare prospettiva: una mela bellissima, esteticamente perfetta, ha qualcosa per cui non è piaciuta nemmeno al verme.

La scelta delle varietà

Il pomodoro Pachino IGP è una gloria tutta italiana: è buono e piace a tutti. È il risultato delle particolari condizioni pedoclimatiche che si riscontrano in una piccola area vicino a Siracusa e che ha come centro il comune di Pachino, il più assolato d’Italia. Possiamo ovviamente, avendone i semi, coltivare questa varietà in Lombardia, ma scordiamoci di ottenere lo stesso prodotto. La pianta verà esposta a condizioni molto diverse da quelle a cui è geneticamente abituata e crescerà come potrà, esposta a parassiti diversi da quelli abituali, oltre che a un clima, a un terreno, a un’insolazione molto diversi.

Questo vale per qualsiasi pianta e a maggior ragione per quelle destinate alla produzione alimentare.

Per questo è sempre bene coltivare specie e varietà autoctone, selezionate magari per la resistenza alle condizioni della nostra zona. Questo ci permetterà di avere piante più forti contro i parassiti locali e più robuste perché perfettamente adattate al nostro clima. La scelta migliore rimane per questo l’utilizzo dei semi ottenuti dalle piante che abbiamo coltivato l’anno precedente: di generazione in generazione quella specie sarà perfettamente acclimatata e offrirà la massina resistenza e la massima produttività. Diversamente, mostriamo il fianco alla necessità di impiegare insetticidi o anticrittogamici per soccorrere la pianta.

La disposizione

Rimane un ultimo argomento da mettere in discussione: l’allineamento regolare delle piante. Bello a vedersi, ma la natura fa diversamente. In natura non esistono spazi vuoti, terreno sgombro e specie raggruppate e allineate. L’orto bio ideale dovrebbe per questo vedere le specie messe come a caso tra le altre piante. No è tanto la disposizione, quanto il fatto che il terreno sia comunque interamente impiegato. Possiamo, ad esempio, seminare in un’aiuola dell’insalata o del prezzemolo e, in mezzo ad esso, mettere delle cipolle, qualche pianta di pomodoro o del basilico. Le piante più basse coprono il suolo, ma non fanno ombra a quelle più alte: la concorrenza sulla luce non esiste. Si può pensare che tutte queste piante, una vicina all’altra, consumino sostanze nutritive e acqua, ma come si è detto, un terreno coperto rimane in ombra e ha perciò una ridotta evaporazione. In più, la massa fogliare crea un microclima umido di cui beneficiano tutti. Alcuni esperimenti hanno dimostrato che la concentrazione di tante specie diverse nella stessa aiuola, favorisce tutte le piante più di quanto ci si aspetti. Qualcuno arriva a dire che un utilizzo del terreno cosiffatto permette un raccolto quasi doppio rispetto al modo tradizionale. E senza far uso di prodotti chimici.

A tal proposito si consideri come molte piante aromatiche (rosmarino, menta, origano, etc.) svolgono un importante ruolo deterrente nei confronti di parassiti comuni. Di solito le releghiamo in un angolo dell’orto mentre invece dovremmo piantarle proprio vicino alle piante che possono efficacemente difendere. In questo modo non occupano più spazio ma noi risparmiamo in insetticidi.

Il problema dei tutori

Un tutore, lo dice il nome, sostiene la pianta ed evita che si spezzi, ad esempio sotto il carico dei frutti. Prevediamo i tutori con le piante rampicanti, come. i fagioli perché, essendo rampicanti, hanno bisogno di qualcosa su cui arrampicarsi. Ma i pomodori? Il pomodoro non è una pianta rampicante e non è il caso di pensare che la natura faccia una pianta dal portamento eretto che non è in grado di sostenersi. In realtà, a ben guardare, il tutore sarebbe quasi inutile se la pianta fosse coltivata secondo natura.

Facciamo un esperimento molto semplice: mettiamo un seme in piena terra e dimentichiamocelo; mettiamo un altro seme in un vasetto e, quando la piantina sarà alta 20 cm, trapiantiamola nell’orto vicino alla prima. Quella non trapiantata svilupperà una radice a fittone che sprofonderà nel terreno e sorreggerà perfettamente la pianta; la seconda, essendo stata trapiantata, svilupperà per lo più radici fascicolate, avrà un fusto più sottile e dovrà essere tutorata. 

Non solo: la prima pianta, quella con la radice a fittone, avrà meno esigenze idriche perché la sua radice scendendo in profondità, troverà sempre l’umidità utile; la seconda dovrà essere bagnata regolarmente perché avendo radici più superficiali avrà bisogno del nostro assiduo intervento.

Come scegliere un concime

Come scegliere un concime

Di fronte a uno scaffale pieno di concimi, l’imbarazzo è ampiamente giustificato. Ve ne sono di tutti i tipi e di tante marche, ma soprattutto, la difficoltà è capire quale sia più indicato per le nostre piante. Si può liquidare il problema con un “sono tutti uguali”, ma sarebbe un errore che può anche dare risultati molto diversi dalle attese.

Innanzitutto, dividiamo i fertilizzanti in due grandi famiglie:

♣ i concimi granulari

♣ i concimi liquidi

Non è un problema di confezione, ma di come svolgono la loro funzione.

I concimi granulari a lenta cessione

I concimi granulari sono fertillizzanti a lenta cessione; si sciolgono lentamente nel terreno fornendo poco alla volta gli elementi di cui sono composti. Questa azione si prolunga per circa tre mesi, tanto impiegano a sciogliersi completamente, fornendo quindi nutrimento su un arco di tempo molto lungo. 

Il vantaggio è fornire il concime per tre volte l’anno: idealmente, a marzo, a giugno, a settembre.

Per contro, il concime granulare va distribuito sulla superficie del vaso o nel sottochioma della pianta (se in piena terra) e interrato leggermente. 

Le piante si “accorgono” della presenza del fertilizzante dopo circa 10-15 giorni, secondo l’umidità del terreno e la velocità con cui il concime si scioglie. Alcuni sono concepiti per rilasciare velocemente una parte di azoto, lasciando che poi il resto si degradi lentamente.

I concimi liquidi a pronta assimilazione

I concimi liquidi sono fertilizzanti a pronta assimilazione: veicolati dall’acqua delle annaffiature con cui vanno sempre mescolati, vengono assorbiti immediatamente dalla pianta che manifesta eventuali miglioramenti nell’arco di due-tre giorni. Pressoché indispensabili per concimare le piante in vaso, vanno distribuiti con regolarità durante tutto il periodo vegetativo, da marzo a tutto settembre, generalmente ogni 10-15 giorni.

I vantaggi stanno nella facile distribuzione, nella pronta assimilazione e nella possibilità, come vedremo, di variare il tipo di concime nel corso della stagione, secondo le esigenze della pianta.

Per contro, dobbiamo prevedere di distribuirli con regolarità, idealmente ogni due settimane.

E poi ci sono…

Le confezioni di questi prodotti possono indurre altri dubbi. Ad esempio, alcuni concimi sono proposti in confetti o bastoncini da inserire nel terreno. Si tratta evidentemente di concimi a lenta cessione, la cui attività però può essere inferiore ai tradizionali tre mesi tipici dei granulari a lenta cessione. In etichetta viene normalmente fornita l’indicazione sulla durata del concime e sulla frequenza con cui bisogna uilizzarlo. Sono prodotti utili e comodi che si dimostrano, ad esempio, molto validi  con le cactacee (che vengono bagnate poco frequentemente).

Altre confezioni propongono il concime in fiale, anch’esse da inserire direttamente nel terreno senza diluizione. Comodi, soprattutto per chi ha poche piante perché evita diluizioni del concime liquido in uno o più litri di acqua, una quantità utile per chi ha tante piante.

Cosa c’è nel fertilizzante

I concimi ad uso domestico contengono sempre la triade Azoto-Fosforo-Potassio, la cui sigla, usando i rispettivi simboli chimici, è NPK. L’Azoto (N) è fondamentale perché presente in tutti i tessuti della pianta e tanto più importante nelle prime fasi di sviluppo perché grazie a esso la pianta aumenta la sua massa fogliare (e quindi la fotosintesi e la produzione di zuccheri). Fosforo (P) e Potassio (K) sono responsabili della fioritura e della fruttificazione, del colore e del profumo dei fiori. Al di là dei nomi attribuiti ai concimi in commercio, la sigla NPK seguita da tre numeri indica in che percentuale i tre elementi sono presenti nel fertilizzante: la sequenza 8-4-6, ad esempio, indica come il concime fornisca l’8% di Azoto, il 4% di Fosforo, il 6% di Potassio.

Una pianta verde o una pianta da fiore o da orto piccola, in fase di sviluppo, necessita di un concime con prevalenza di Azoto. Una pianta che sta formando i boccioli fiorali o è in piena fioritura, richiede un concime con prevalenza di Fosforo e Potassio.

Usando concimi liquidi, è facile allora iniziare la stagione con un tipo di concime e proseguirla con un concime diverso, più adatto.

I microelementi

Oltre ai tre elementi fondamentali, il concime deve contenere anche altri elementi utili, definiti meso e microelementi, presenti in piccole quantità, ma egualmente importanti per la salute della pianta. Sono questi che rendono differenti i diversi concimi e più adatti a questa o quella pianta. Le esigenze di una aromatica sono diverse da quelle di una comune pianta verde, così come la rosa richiede nutrienti diversi da una cactacea.

Da qui l’ottimizzazione operata dalle aziende e definita in etichetta: concime per rose, per aromatiche, per cactacee, per gerani, etc.

Un caso a se stante è rappresentato dal concime per acidofile che, oltre a svolgere il compito di un fertilizzante per piante fiorite, stabilizza l’acqua in cui è mescolato e mantiene il terreno alla corretta acidità, prevenendo fenomeni di clorosi ferrica.

Concimi Bio

I concimi bio

Se desideriamo coltivare in modo bio, possiamo farlo utilizzando concimi che arricchiscono il terreno senza introdurre prodotti chimici. È sbagliato pensare che in questo tipo di coltivazione non si debba far uso di concime; il terreno può essere arricchito con nutrienti utili a totale beneficio delle piante sfruttando sostanze naturali. Si parla allora di concimi organici che possono essere di origine animale o vegetale.

Concimi di origine animale

Sono concimi di origine animale il letame, la farina d’ossa, quella di piume, la pollina, il sangue secco, la farina di pesce.

Il letame
Tradizionalmente più usato da sempre, il letame è il risultato delle deiezioni degli erbivori, bovini, ovini, caprini, equini, avicoli. Come tale, contiene gli scarti dell’alimentazione vegetale ed è quindi ricco degli elementi principali, ma anche di un’ampia gamma di microelementi. È un concime completo che oggi possiamo trovare commercializzato in forma pellettata o sfarinata: si tratta di un elementare trattamento di essiccazione che non toglie nulla né aggiunge alcunché all’originale. In compenso, è più facilmente gestibile sia nella conservazione sia nella distribuzione.

È adatto per tutte le piante, sia ornamentali sia orticole: lo possiamo usare con sicurezza nella preparazione del terreno (concimazione di fondo).

Pollina
Chiamiamo così le deiezioni delle galline, da sempre usate per concimare l’orto. Il suo pregio sta nell’elevato contenuto di azoto; il suo difetto sta nella carica microbica tanto elevata da bruciare le radici se usato fresco o senza l’opportuna diluizione. 

Sangue secco
Concime di antiche origini, oggi commercializzato spesso mescolato a urea (fertilizzante azotato). Fornisce una buona dotazione di azoto, potassio e fosforo ed è impiegabile su tutte le piante ornamentali e ortive. Favorisce lo sviluppo della pianta e la produzione di fogliame ed è perciò molto indicato nelle prime fasi di crescita della pianta.

Farina di pesce
Ottenuto dall’essiccazione degli scarti di lavorazione del pesce, questo concime apporta azoto (8%) e acido fosforico (5%). È un ottimo stimolante della crescita, adatto a tutti gli arbusti e in particolar modo alle rose. Steso sul terreno, ne migliora la vita microbica e favorisce lo sviluppo delle radici. Utilizzato come fertilizzante in giardino, stimola la fioritura, aumenta il numero e le dimensioni dei frutti e rende la pianta più reistente agli agenti atmosferici. Si consideri come gli Aztechi, nelle loro coltivazioni, seppellisero sotto la pianta un pesce come elemento fertilizzante. 

Farina d’ossa
Viene ottenuta dalla frantumazione delle ossa; contiene una buona percentuale di fosforo e ha la capacità di elevare il pH del terreno (meno acido dunque). Distribuito sul terreno, apporta fosforo, calcio e azoto. Usato come ammendante, eleva il pH (meno acido). Si degrada molto lentamente nel terreno ed è adatto a tutti gli arbusti e le bulbose.

Farina di piume
Si ottiene dalle piume degli animali, essiccate e tritate. Ha un elevato contenuto di azoto (ca 12%), in piccola parte immediatamente disponibile e la maggior parte a lento rilascio.

Humus di lombrico
Deriva dall’attività di allevamento dei lombrichi, svolto normalmente su un letto di letame. Grazie al loro lavoro di scavo e alle loro deiezioni, si ottiene un terriccio particolare, definito humus, che costituisce un ottimo concime da impiegare nell’orto, ma idealmente adatto a qualsiasi pianta. Facile da gestire ed economico, questo concime non presenta alcun cattivo odore e non ha controindicazioni.

Cornunghia
Fertilizzante di origine animale ottenuto dalla essiccazione e torrefazione di corna e unghia scartate dalla lavorazione industriale. Apporta un’elevata dose di azoto a lento rilascio e fosforo. È adatto alla concimazione di fondo per qualsiasi pianta, ornamentale e ortiva.

Concimi di origine vegetale

I concimi di questo tipo contengono tutti gli elementi costituenti delle piante e come tali rappresentano una dotazione completa. Forniscono al terreno la materia prima talvolta non disponibile dove la desideriamo e hanno generalmente il vantaggio di strutturare il terreno rendendolo più morbido e permeabile.

Compost
È il concime più facilmente utilizzabile in un giardino di piccole e medie dimensioni, ottenuto dalla degradazione degli scarti verdi del giardino stesso: foglie, erba, piante morte, scarti vegetali. Non è un concime di serie B come qualcuno pensa, ma un ottimo concime ricco di ogni sostanza utile, facilmente gestibile e realizzabile.

Il compostaggio è una tecnica che riproduce in piccolo quanto già avviene in natura: è facile, economico e vantaggioso.

Estratto di alghe
Le alghe sono ricche di azoto e fosforo e sono ideali per concimare il terreno di qualsiasi arbusto. In particolare, migliora lo sviluppo radicale nelle fasi iniziali di sviluppo, favorisce la fotosintesi e riduce la suscettibilità alle microcarenze. È particolarmente indicato per la coltivazione del rosmarino e della salvia.

Lupini macinati
Questo concime, ottenuto dalla macinatura dei legumi essiccati, oltre a fornire una buona dotazione di elementi utili, ha il potere di abbassare il pH del terreno (rendendolo più acido). È ideale perciò per la concimazione di tutte le piante acidofile (camelia, azalea, rododendro, gardenia) e le piante orticole o da frutto che preferiscono un terreno tendenzialmente acido, dalle fragole agli agrumi, dal mirto al mirtillo.

Cenere di legna
La cenere è usata da sempre per la concimazione delle piante. Il suo naturale apporto di potassio favorisce la fioritura e la produzione di frutti. La cenere da impiegare è quella ottenuta dalla combustione di legno non trattato; quello migliore è quello di olivo. Non va usato su piante acidofile.

Irrigare dal sottovaso

Serve bagnare dal sottovaso?

Bagnare una pianta versando l’acqua direttamente nel sottovaso invece che sul terreno è una pratica che impieghiamo spesso con le piante di casa e che in molti casi è risolutivo.

Non sempre però rappresenta il modo più corretto di fare.

Versando l’acqua nel sottovaso facciamo sì che questa per capillarità raggiunga le radici senza soffocarle e mantenendo l’umidità del terriccio sempre ideale per la vita della pianta.

Il sistema è senz’altro valido, tant’è che in vivaio le piante presenti sui banconi sono normalmente irrigate con questo sistema, versando l’acqua direttamente nei banconi una volta al giorno.

Perché funzioni si devono però rispettare alcune condizioni fondamentali.

♣ Il vaso non deve essere provvisto del tradizionale strato di drenaggio (ghiaia o argilla); se così fosse l’acqua non potrebbe risalire verso le radici.

♣ Le radici occupano almeno il 50% del volume del vaso; diversamente le radici non riceverebbero abbastanza acqua.

♣ Il terriccio non è completamente secco; se il terreno è disidratato diventa impermeabile e l’acqua non può risalire per capillarità.

Come la pianta ci dice che ha sete

Come la pianta ci dice che ha sete

L’acqua è determinante per la salute delle nostre piante e sappiamo bene che molto dipende da quanta ne forniamo e a che intervalli. Purtroppo è dimostrato che le piante di casa muoiono più facilmente perché diamo loro troppa acqua. Le piante che “muoiono di sete” sono veramente poche.

Questo avviene anche perché è più facile accorgersi di una pianta assetata piuttosto che di una pianta che sta soffocando per troppa acqua.

Nel primo caso la pianta si affloscia, mentre nel secondo i sintomi sono completamente diversi e possono durare giorni.

In mancanza di acqua le foglie si afflosciano con il duplice scopo di ridurre la traspirazione (e quindi limitare la dispersione di acqua dai tessuti fogliari) e mantenere l’umidità all’interno del fogliame.

Vedendo una pianta assetata, chiunque, con un bicchiere d’acqua, vi sa porre rimedio.

Se l’acqua è invece eccessiva, le foglie tendono a ingiallire, diventano mollicce, la pianta ha un aspetto sofferente, ma resta verde e con il suo naturale portamento. Sono le radici in questo caso che stanno soffrendo di asfissia e non hanno modo di svolgere la loro naturale funzione. In questo caso ci allarmiamo, ma non sappiamo bene cosa fare.

Se la pianta ha sete

Se la pianta è piccola immergiamo il vaso in un catino pieno d’acqua, lasciamocelo per mezz’ora, quindi sgoccioliamolo bene e rimettiamolo al suo posto con un sottovaso.

Se la pianta è grande, versiamo acqua poco alla volta vicino al fusto (una tazzina alla volta) attendendo che venga assorbita prima di versarne di nuova. Lasciamo che in questo modo l’acqua raggiunga il sottovaso prima di smettere.

Se la stiamo bagnando troppo

Solleviamo il vaso e mettiamo dei tappi di plastica tra il vaso e il sottovaso per facilitare lo sgrondo.

Smuoviamo il terreno in superficie per accelerare l’evaporazione. 

Foriamo il terreno con uno stuzzicadente lungo per ossigenare le radici.

Attendiamo che il terreno si asciughi completamente (ce ne accorgiamo dal peso del vaso) prima di bagnare ancora.

Perché non crescono in inverno

Perché le piante non crescono in inverno?

La domanda potrebbe sembrare banale, ma non lo è affatto. Siamo abituati a questo fatto e lo accettiamo. Ma che motivo c’è che una sempreverde che teniamo in casa smetta di crescere durante l’inverno? Non può essere un problema di temperatura: in casa ci sono sempre 20°C (almeno, ci piace dire). Hanno acqua e un buon terreno: eppure fino a primavera non crescono.

La prima spiegazione viene dalla quantità di luce che ricevono. Questa va intesa sia in termini di quantità di illuminazione, sia, soprattutto nella durata del giorno.

Si consideri a riguardo che, alla latitdine della Toscana, il giorno più corto dell’anno, il 21 dicembre, l’intervallo tra l’alba (luce prima del sorgere del sole) e il crepuscolo (ultima luce dopo il tramonto) è soltanto di 12 ore e mezza che si riducono ulteriormente se consideriamo una quantità di luce utile per la fotosintesi (non raggiungiamo le 11 ore). Le ore di sole vere e proprie sono appena 9 (e 2 minuti per la precisione).

Nella giornata più lunga, il 21 giugno, l’illuminazione alla stessa latitudine vedeva un intervallo tra alba e crepuscolo di 20 ore e 30 minuti con un’illuminazione diretta del sole superiore a 15 ore e mezza.

Riassumendo:

Data
21 dicembre
21 giugno

alba-crepuscolo
12h 30m
20h 30m

ore di sole
9h 02m
15h 32m

Ora, chiunque possiede un impianto fotovoltaico sa bene come la produzione di energia elettrica sia nettamente inferiore in inverno rispetto all’estate perché molto diversa è l’insolazione utilizzabile, sia come quantità, sia come durata. Un pannello fotovoltaico, essendo un componente elettronico, reagisce subito alla pur debole quantità di luce. Una pianta che sfrutta l’energia solare per la fotosintesi (che è un processo chimico, non elettrico) ha un’inerzia maggiore e impiega più tempo per entrare a regime e produrre quindi l’energia necessaria ai suoi fabbisogni. Il sistema quindi appare, a queste latitudini, poco efficiente ai fini della produzione, ad esempio, di nuove foglie.

Da qui l’utilità da parte delle piante di sospendere alcune attività a beneficio della salute e dell’acquisizione di risorse che, immagazzinate nelle radici e nel tronco, verranno utili a primavera per la produzione di nuova vegetazione.

E se aumentiamo la luce?

Si potrebbe allora giustamente pensare che basta fornire alle piante più luce perché continuino a crescere. È quanto viene fatto nelle serre dove l’illuminazione artificiale ricrea le condizioni tipiche del giorno estivo (oltre al clima ovviamente) per far crescere le piante (pensiamo soprattutto agli ortaggi, per questo disponibili tutto l’anno) in qualsiasi stagione. Non tutte si prestano perché alcune sono conformate geneticamente ad avvalersi di un riposo vegetativo (il sonno è importante per loro quanto per noi-serve a ricaricarsi), ma le piante erbacee risultano, sotto questo aspetto, più tolleranti. 

Bene quindi se proviamo, anche in casa nostra, a dare una marcia in più alle nostre piante fornendo loro una luce artificiale. Ma solo se la luce naturale è veramente insufficiente: diversamente metteremmo la pianta in forte stress e ne vedremmo poi le conseguenze nelle prossime belle stagioni.

Piante a radice nuda

Piante a radice nuda: conviene?

Siamo ormai abituati ad acquistare piante in vaso: lo troviamo naturale e rassicurante. Ma in questo periodo il modo migliore è quello detto “a radice nuda”, dove, senza alcun contenitore, le radici si presentano, appunto, nude.

Abbiamo la sensazione che la pianta sia morta e che sia improbabile che possa attecchire in queste condizioni.

Ma non è affatto così. Gli arbusti e gli alberelli, anche da frutta, attecchiscono meglio in queste condizioni. Non per niente i professionisti usano questa modalità che assicura risultati migliori. 

Quali sono le differenze

La pianta acquistata in vaso è stata coltivata in vaso. Questo comporta che le radici sono abituate a quelle condizioni. Probabilmente la pianta è stata conservata e allevata in serra o in ambiente protetto, dove poteva dare il meglio di sé in termini di sviluppo.

La pianta venduta a radici nude è stata coltivata in piena terra, all’aperto ed esposta dunque alla varietà del terreno, alle differenze climatiche, sottoposta a pioggia o a periodi di siccità. Sotto questo aspetto, la pianta allevata così risulta più robusta e più facilmente acclimatabile delle prime.

Le radici delle piante colltivate in vaso sono complete: oltre alle radici primarie sono presenti quelle secondarie e i peli radicali. Per questo, nel trapianto si cercherà di toccarle il meno possibile per facilitare l’attecchimento.

Le radici delle piante vendute  “a radice nuda” sono solo quelle primarie e secondarie (è questo che ci dà la sensazione che la pianta, ridotta all’essenziale, sia morta). In compenso, metterle a dimora risulta molto più facile.

Breve anatomia delle radici

Nelle radici distinguiamo le radici primarie, qulle che partono dal colletto: sono grosse, legnose e da esse si dipartono quelle più sottili su cui si formano i peli radicali. Sono questi ultimi che assorbono l’acqua e le sostanze nutritive. Le radici primarie, come in parte anche il tronco, sono dei veri serbatoi di sostanze minerali ed ormoni, degli elementi cioè indispensabili per la vegetazione della pianta.

Le secondarie e i peli radicali si formano in base al terreno e, oltre a garantire stabilità alla pianta, permettono il più corretto ideale assorbimento dei nutrienti.

Vantaggi e svantaggi

Quano trapiantiamo una pianta coltivata in vaso, le radici, già complete, si devono adattare al nuovo terreno e, se coltivata in ambiente protetto, anche al clima. Le radici esistenti si dimostrano utili per il terreno del pane di terra in cui sono cresciute, ma inadatte per il terreno circostante. Per poter attecchire la pianta deve comunque crearne di nuove e più efficaci.

La pianta messa a dimora con le radici 

nude deve comunque creare le radici secondarie e i peli radicali, ma lo fa da subito, adattandosi immediatamente al terreno in cui sono poste. In più, l’essere cresciuta in piena terra, fornisce alla pianta una superiore rusticità.

Infine, ma non ultimo, le pianta a radici nude hanno un prezzo sensibilmente inferiore, possono essere trasportate più facilmente e l’unica cosa di cui hanno bisogno è il mantenimento di un po’ di umidità intorno alle radici (per questo sono spesso avvolte in sacchetto pieni di trucioli o segatura umida.

Perciò, sia che dobbiamo acquistare una sola pianta, sia che intendiamo realizzare una siepe o un frutteto, in questo periodo è decisamente più vantaggioso affidarsi alle piante a radice nuda, acquistabili anche on line in tutta sicurezza.

Per saperne di più: ⇒ Radici

Piante gratis con le talee

Piante gratis con le talee

Come sappiamo, possiamo moltiplicare le piante che più ci piacciono, semplicemente per talea. Di cosa si tratta esattamente?

La moltiplicazione per talea sfrutta la capacità dei vegetali di rigenerare le parti mancanti dando vita a un nuovo esemplare perfettamente autosufficiente e identico nelle caratteristiche alla pianta da cui la talea è stata prelevata. La proprietà rigenerativa permette ai vegetali di differenziare i tessuti e specializzarli ricreando le radici da un tessuto qualsiasi.

È possibile utilizzare un rametto, una foglia, un pezzetto di radice. La riproduzione per talea, a differenza di quella da seme, garantisce la perfetta identità della pianta anche nel colore dei fiori. Se perciò desideriamo avere una pianta perché ci colpisce il colore dei suoi fiori, la moltiplicazione per talea è ideale.

Questa tecnica è utilizzata da tutti i vivaisti che la impiegano per la produzione delle piante; solo le erbacee vengono riprodotte per seme.

Ecco quindi una piccola guida per assicurarsi buoni risultati evitando delusioni e frustrazioni.

Cosa e come tagliare

Innanzitutto per la talea si prelevano parti apicali (le cime) di un ramo non fiorifero; la talea non deve essere più lunga di 10 cm. In molti casi bastano 3-4 cm.

Il taglio deve essere netto, non sfilacciato, possibilmente in diagonale, in modo da aumentare la superficie da cui far spuntare le radici. Utilizziamo sempre un coltello affilato o delle forbici puite.

Possiamo utilizzare anche i rametti tagliati da una potatura a verde (pensiamo a una siepe ad esempio), purché adeguatamente preparati.

Come conservare le talee

Se non abbiamo modo di piantare subito le talee, conserviamole in un sacchetto di plastica precedentemente bagnato. È molto importante che la parte tagliata non si disidrati riducendo le possibilità di riuscita. Se siamo in giardino o in terrazzo, conserviamo le talee in un contenitore pieno d’acqua, possibilmente coperto, al riparo dal sole. Anche con questi accorgimenti dovremo comunque procedere entro 48 ore.

Come preparare la talea

Il pericolo maggiore per una talea è la disidratazione; mancando la possibilità di assorbire acqua dal terreno, diventa fondamentale mantenere la talea in un clima molto umido finché non sia in grado di idratarsi autonomamente.

Per questo togliamo tutte le foglie poste lungo il fusto e conserviamone solo due o tre sulla cima; tagliamo altresì a metà le foglie rimaste in modo da limitare la traspirazione e quindi la perdita di acqua.

1 - Scegliamo il rametto
Usiamo la cima di un fusto non fiorifero. Tagliamo in doganale per non più di 10 cm.
2 - Eliminiamo le foglie più basse
Tagliamo tute le foglie; lasciamone solo due o tre in cima.
3 - Togliamo i germogli
Togliamo qualsiasi germoglio e lasciamo solo le foglie.
4 - Tagliamo le foglie
Con le forbici tagliamo due terzi delle foglie rimaste per limitare la traspirazione e la perdita di umidità.
5 - Piantiamo la talea
Mettiamo la nostra talea in terriccio umido e copriamola per conservarne l'umidità.
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Il terreno ideale

Il terreno in cui la talea può emettere radici deve essere leggero, ricco di materia vegetale, ben areato. Per questo possiamo usare un terriccio universale qualsiasi (per le acidofile usiamo un terriccio adatto), ma, ancor meglio, un terriccio ordinario mescolato a sabbia. o terriccio per cactacee o perlite.

Il substrato utilizzato deve essere ben idratato; possiamo mettere il vasetto che andremo ad utilizzare a bagno per qualche minuto perché il terreno si umidifichi in modo completo.

L’umidità

L’umidità, come abbiamo già detto, gioca un ruolo fondamentale. Una volta messa la talea in terra, dobbiamo coprirla per evitare l’evaporazione dell’acqua dal terreno e dalla pianta.

Per questo, se abbiamo usato un vasetto, possiamo coprirlo completamente usando un sacchetto di plastica trasparente (quelli da congelazione vanno benissimo), oppure una bottiglia di plastica a cui abbiamo tagliato il fondo.

Se abbiamo usato dei vasetti di torba o di plastica, chiudiamo il tutto con il coperchio, chiudendo anche le eventuali finestrelle di aerazione.

Il tutto va lasciato in un posto luminoso, ma non colpito dal sole, senza fare nulla per almeno due settimane.

Il tempo

Ogni pianta ha i suoi tempi: ve ne sono che producono radici in meno di due settimane (l’oleandro ad esempio), ed altre che possono impiegare mesi. A noi non resta che attendere che sulla talea spuntino nuove foglie, segno che si sono formate le radici e che la pianta ha iniziato a vegetare. A quel punto lasciamo ancora la talea protetta per un paio di settimane prima di scoprirla e metterla all’aria. Consideriamo che le radici devono essere sufficientemente forti da pescare umidità anche se sottoposte all’aria e alla naturale periodica asciugatura del terreno.

Finché però vediamo la talea verde, non dobbiamo temere: l’umidità basta a mantenerla in vita ed è solo questione di attesa.

Cosa fare dopo

Una volta che la talea ha radicato, non esponiamola subito al sole diretto; conserviamola in un posto luminoso e protetto dalle correnti d’aria. Se abitiamo al Nord, prevediamo un’adeguata protezione dal gelo almeno per il primo inverno. A primavera potremo trapiantare la piantina in un contenitore più grande con terriccio adatto ben concimato, oppure direttamente in piena terra. 

Consideriamo sempre che le giovani piante hanno bisogno di un apporto regolare di acqua per i primi due anni, finché non affondino bene le radici nel terreno diventando pressoché autonome.

Serve la polvere radicante?

La polvere radicante è un composto a base di ormoni che facilitano l’emissione delle radici. Se intendiamo utilizzarla, ci basterà intingere la base del fusto nella polvere prima di metterla in terra.

Va detto che i professionisti non la utilizzano, ma rappresenta pur sempre una marcia in più che aumenta le possibilità di riuscita.

E non finisce qui

 Raccontateci la vostra esperienza, inviate commenti e osservazioni; potremo arricchire l’articolo.